Figli della Resistenza

Una mattina mi son svegliato ed accendendo la TV ho sentito qualcuno che parlava di blocchi navali e di alzare muri per lasciar annegare altre persone, di separare la sua casa dalle altre per poter spendere i suoi soldi dentro casa sua, di cacciare persone deboli, povere ed emarginate dalle loro abitazioni solo perché diverse. Una mattina mi son svegliato e sul giornale ho letto di qualcuno che voleva i pieni poteri per poter decidere da solo, con le proprie opinioni, della sorte di un intero popolo. Una mattina mi son svegliato ed aprendo internet ho visto qualcuno che scriveva di voler sostituire il ricordo del 25 Aprile con qualche altra occasione solo per cancellare la ricorrenza del 25 Aprile 1945 in cui il popolo italiano si ribellò all’orrendo crimine del Nazi-Fascismo che per 20 anni li aveva oppressi con una brutale e disastrosa dittatura, la festa della Liberazione.

Così uscii di casa per parlarne con altre persone ma molte di queste, troppe, sostenevano le parole di questi qualcuno.

Quella stessa mattina mi son chiesto perché così tanti accettassero che delle persone morissero annegate in mare, perché volessero separare la propria casa dalle altre, perché non si ribellassero a chi voleva cancellare la Festa della Liberazione, perchè fossero disposte a cedere la propria libertà per potersi chiudere a casa propria, con i propri soldi, senza lasciar entrare nessuno.

Era chiaro che l’invasore era vicino e di nuovo pronto a calpestare la dignità umana, era chiaro che l’invasore stava tornando. Stava tornando nelle periferie, nelle fabbriche dismesse, nelle scuole abbandonate, nelle strade trascurate, nelle case diroccate, nelle piazze svuotate, nelle terre inquinate, nelle sezioni deserte, negli ospedali smembrati, nei circoli serrati, nei boschi desolati, nelle serrande abbassate. Stava tornando nella mente dei disoccupati, dei precari, degli ammalati lasciati soli, degli emarginati. Ovunque si diffondeva un enorme senso di indifferenza, talmente ampio, da riempire di rabbia e diffidenza un numero sempre maggiore di persone. Allora mi apprestai a cercare qualcuno che avesse vissuto prima e dopo quel 25 Aprile 1945 e tra i pochi rimasti, uno mi raccontò la sua esperienza di resistenza e quanta determinazione avesse, nonostante l’età, nel ripetere il più possibile la sua storia. Mi confessò quanto fosse emozionato ogni volta che poteva andare a votare, quanto era bello poter votare qualcuno di cui si fidava che avrebbe portato avanti i suoi ideali.

Così ho capito che mentre le generazioni passate si erano conquistate la libertà col loro sangue e la custodivano come la più preziosa delle pietre, la nostra generazione sta cedendo ogni giorno un piccolo pezzo di democrazia al miglior offerente perché diamo la libertà per scontata e non comprendiamo il valore.

Noi siamo i figli della Resistenza ed il nostro ruolo non è andare nelle scuole o ai convegni a dire cos’è la festa della liberazione, cantare una canzone nelle piazze tra di noi e sfilare con la bandiera rossa. La nostra Resistenza è capire, giorno dopo giorno, insieme a tutte le persone, cos’è la Libertà. Praticare, insieme a chi è stato isolato dalla società in questi ultimi 30 anni, la Democrazia, dal più piccolo circolo d’Italia alla Camera dei Deputati. Amplificare la nostra capacità di sostegno ed aiuto verso chiunque ne abbia bisogno per evidenziare il senso di comunità di una Repubblica. Questo significa oggi Resistenza, questo è il vero fiore del partigiano che sboccia dal suo sangue affinché non si debba più ricorrere alla forza per cacciare l’invasore.

Noi siamo i figli della Resistenza ed il nostro dovere è diffondere cultura, solidarietà, libertà e democrazia, affinché si possano custodire e trasferire ai posteri per non rendere vano il sacrificio dei nostri padri.

Noi siamo i figli della Resistenza ed abbiamo l’inno di libertà più bello del mondo.

Il Mondo vuoto

A cosa serve il Mondo vuoto? A cosa serve il Mondo chiuso? A cosa serve un Mondo svuotato di alberi nelle foreste e riempito con case ed industrie, a cosa servono il mare e gli oceani svuotati di vita e riempiti di plastica, a cosa servono campi e rocce inquinati, scavati ed esauriti, a cosa servono i boschi svuotati di silenzi, di odori e di ombre e riempiti di cenere e rifiuti, a cosa servono prati rinsecchiti e riempiti di cemento, a cosa serve l’aria svuotata d’ossigeno e riempita di esalazioni, ma soprattutto a cosa serve l’uomo senza la propria coscienza, la propria condizione umana, il proprio mondo interiore. E così, giorno dopo giorno, stracciamo le pagine della nostra vita per abbellirne la copertina. Passiamo ore a parlare su delle chat senza neanche accorgerci delle persone che abbiamo intorno, giudichiamo tutto e tutti mentre escogitiamo un rimedio per fregare il nostro vicino o lo Stato o magari il mondo, pretendiamo tutto pulito ed in ordine ma poi beviamo solo acqua imbottigliata industrialmente in plastica, scattiamo migliaia di foto e nella nostra mente non lasciamo la traccia di un solo ricordo, preghiamo le nostre divinità predicando parole di solidarietà e poi pratichiamo odio fino al punto di giustificare la morte di esseri umani in mare, in balia delle onde, esigiamo regole severe finché sono gli altri a doverle rispettare, parliamo di rispetto delle persone ma silenziosamente ci lasciamo comprare da chi distrugge case ed ospedali con una bomba, piangiamo vedendo un bimbo agonizzante di fame in tv mentre buttiamo il pezzo di pane duro che non abbiamo consumato a fine pasto. A cosa serve distinguerci dagli animali se abbiamo riempito il nostro spirito di ego e vanità fino ad occupare ogni spazio possibile del nostro corpo e di questa Terra. Ed abbiamo dimenticato le cose importanti, le cose essenziali fino a lasciare che un virus viaggiasse sulle nostre gambe, tramite i nostri corpi da una persona all’altra al punto di invaderci e costringerci all’isolamento, al distacco sociale forzato! Una minuscola entità invisibile all’occhio umano è riuscita a svuotare ogni minimo angolo del nostro fragile mondo ormai fatto di sole apparenze ed infinita pochezza, che da soli non riusciamo a modificare. Ci ha cacciato fuori da ogni luogo: le nostre strade, le nostre piazze, i nostri monumenti, i nostri parchi, i nostri circoli, i nostri teatri. Ci ha cacciato dai mari, dalle foreste e dai cieli. Ci ha costretti a chiuderci nelle nostre case dimostrandoci la fragilità della nostra quotidianità: l’aperitivo, la settimana bianca, la serata al bar, il viaggio in business class, la partita di Champions, la cena al ristorante, il pranzo in ufficio, il corso in piscina, la scheda in palestra, l’appuntamento dall’estetista, la prenotazione dal barbiere, la sfilata in maschera durante il carnevale, il karaoke, la festa a casa degli amici, lo shopping in centro, lo spring break, e tante altre di quelle abitudini frivole a cui non riusciamo a rinunciare e tramite le quali, il mostro, il virus, ci ha invasi. Sembrava tanto innocuo visto da lontano che quando è arrivato tra noi ha dovuto minacciarci seriamente di morte per farci abbandonare tutte le cazzate quotidiane in cui versiamo infinite quantità di tempo. E così il Mondo ci appare oggi vuoto e chiuso. Non ci sono riusciti i vari Trump, Salvini, Boris Johnson, Bolsonaro, Orban, Meloni. Non ci sono riuscite le guerre. Non sono bastati i drastici cambiamenti climatici. Ma lui, il Covid-19 ce l’ha fatta: ha svuotato il Mondo e chiuso tutte le frontiere, anche quelle di casa nostra. Proprio come hanno sempre agognato i sovranisti moderni. Mentre medici, infermieri e ricercatori combattono in prima linea, senza sosta e senza frontiera, contro questo male tanto aggressivo, noi, isolati dal contatto fisico col resto del Mondo cominciamo ad affrontare il vuoto della coscienza collettiva che attraversa la società contemporanea. E abbiamo cominciato ad accorgerci che anche senza di noi il mondo non è vuoto, anzi. Abbiamo cominciato ad apprezzare tutti quei piccoli gesti quotidiani che davamo per scontati comprendendo quanto invece siano stati il frutto di conquiste maturate col tempo, col sapere e col rispetto reciproco. Abbiamo cominciato a riprendere coscienza delle cose realmente importanti, delle cose che realmente ci aiutano a stare bene. Così forse, domani, quando tutto questo sarà finito, uscendo di casa, stringeremo la mano di una persona apprezzando il senso di fiducia reciproca di un gesto tanto semplice, ci abbracceremo con gli amici per scambiare un segno d’affetto e non per pubblicarne la foto su Facebook, vivremo storie intense senza pubblicarle su Instagram, più lunghe di 15 secondi, daremo un bacio a chi amiamo per vero bisogno d’Amore, torneremo ad apprezzare l’odore e la Bellezza di un parco, di un bosco, delle sponde del mare, ed andremo a correre perché ne avremo una gran voglia, apprezzeremo il cielo per la sua vastità, e passeggeremo per ore alla scoperta della nostra Libertà, viaggeremo intorno al Mondo alla ricerca di noi stessi, tornando a casa spegneremo i telefoni, riscopriremo la forza di guardare in faccia le persone, negli occhi, torneremo alla Vita. E forse riusciremo anche ad essere più buoni ed a rispettare le persone intorno a noi comprendendo il grande ruolo che svolgono nella nostra vita quotidiana, riusciremo a rispettare i locali, le piazze ed i monumenti che abbiamo costruito apprezzandone la funzione liberatoria che hanno per la nostra mente, torneremo a considerare gli altri esseri viventi di cielo, terra e mare essendoci accorti che anche senza di noi, il Mondo, non è affatto vuoto perché non è nostro. Quando tutto questo sarà finito, torneremo a riempire il Mondo intorno a noi con più amore ed attenzione se sapremo innanzitutto riempire il Mondo dentro di noi, o forse no, ma almeno potremmo provarci!

Pelle, Sangue, Ossa e Muscoli.

Precisione e italiano sono 2 cose che non vanno tanto d’accordo. Si sa, noi italiani abbiamo tante belle qualità, tante meravigliose eccellenze, siamo anche ospitali, buoni e ironici ma la precisione non è la nostra miglior caratteristica. Il ritardo è una proprietà talmente nostra che una persona troppo precisa da noi viene etichettata con un termine dispregiativo: PIGNOLO. Se troppo preciso, sei pignolo! Credo che sia questa la prerogativa per cui i nostri mezzi di trasporto pubblico hanno questo grave conflitto d’intesa con la precisione. In fondo, parliamoci chiaro, ci fa comodo il ritardo del pullman, del tram, del treno, solo che non esprimiamo questo piacere altrimenti non ci sarebbe più gusto, sfumerebbe tutto il romanticismo del ritardo. Metti caso hai avuto un piccolo inconveniente, una dimenticanza, ti sei svegliato 2 minuti più tardi, un qualsiasi insignificante problema, ecco la soluzione: il ritardo programmato.

L’accettazione del ritardo in Italia è quasi un’opera di bene, una tecnica di riduzione dei livelli di stress, una sorta di beneficenza dei trasporti pubblici in favore dei ritardatari.

Chi però, tiene fede a questa opera di bene più di tutti è la rete ferroviaria. Perché in Italia sai che il treno non sarà mai puntuale al minuto. Sai che partirà comunque con almeno 1 minuto di ritardo e se proprio dovesse essere puntuale, è stata una rara eccezione. Quell’eccezione che ti causa ulteriore stress, lo stress dell’ora spaccata che fagocita inesorabilmente il godimento pieno delle cose. Sarà forse questo uno dei motivi per cui ho sempre amato i viaggi in treno (quando la poltrona è comoda e non si muore dal caldo).

Senza contare che viaggiare in treno ha un fascino particolare, tanto particolare che le prime locomotive venivano chiamate macchine del diavolo perché macinavano chilometri e chilometri ad una velocità mai vista, riempiendo in poco tempo i viaggiatori di una quantità infinita di paesaggi che a volte neanche in una vita intera si sarebbe acquisita. Ogni uomo che fino ad allora aveva visto poco più che il suo paese di provincia, aveva l’occasione di colmarsi di Mondo.

Per noi italiani poi, è sempre tutta un’altra storia.

Viaggiare in treno in Italia è come quando da bambino impari cos’è la bici e girando l’angolo della strada dove finisce il mondo scopri l’America. Se spacchi l’Italia dal sud al nord in treno riesci a capire perché ci chiamano il bel paese, vedi quanto siamo divisi nella parola e visceralmente uniti nel cuore. Superi distese immense di verde e storia. Ti trovi su una riva scoscesa ad apprezzare un paesaggio marino da perderci gli occhi ricordando la storia di un lontano Oriente sbarcato chissà quanti anni fa ed in meno di dieci minuti sei nelle più aspre colline e sottopassi immersi in un verde di quelli che si vedono solo nei film, dove nordiche tribù son passate saccheggiando e lasciando impronte di silenzio all’eternità.

E campagna, campi e campi e campi, ognuno con la sua sfumatura di verde ma tutti identici nel profondo.

E poi i borghi, ciascuno con la propria nota caratteristica, con la sua particolare coltura. Attraversi quei borghi assurdi, nascosti dai secoli, con nomi improbabili, frutto di chissà quale millenaria storia che ad ogni secolo ha plasmato una sola lettera del loro nome, con quelle stazioni perse nel nulla, quasi sembra di essere sulla Luna. Poi le città.

Qualunque città del mondo possiate visitare avrà la sua storia tipica ed unica. Una storia precisa e marcata dall’esterno alle viscere con note caratteristiche identificatrici.

Le città italiane invece sono un dono divino. Sono una garanzia, una testimonianza enorme della varietà razziale ed artistica del Mondo. Qualunque sia ed ovunque essa si trovi, sei sicuro che avrai da scoprirne le membra e da ingrassare la mente di storia e cultura per almeno una vita. Anche le più piccole, anche quei grandi paesi di 20.000 abitanti adorabilmente detti città. Razze, storie, fedi, filosofie, politiche, architetture, gastronomie, tutto quello che è esistito al Mondo lo puoi trovare in una città italiana!

È così che il viaggio in treno diventa qualcosa di unico. Dopo aver percorso distese immense e colline e rive scoscese arrivi in prossimità di una città e sembra quasi di sentirti un chirurgo. Improvvisamente ti trovi ad effettuare un’autopsia, un intervento a cuore aperto. È come fare un viaggio in un minuscolo sottomarino nel corpo umano. Col treno tagli ogni strato della città come un bisturi. Da lontano cominci a vedere i colori, ad immaginare l’odore, sentire la voce della città in cui stai approdando. E allora il treno comincia a rallentare e tutto quello che c’è intorno passa lento e sfuma inesorabile. La mente concentrata alla prossimità della fermata si perde nelle diapositive che passano dal finestrino e comincia un nuovo viaggio. Si inizia a vestire l’anima della città.

C’è prima l’esterno, quello che si sporca, quello che deve assorbire e filtrare tutto, la parte elastica in grado di subire ed impattare senza notevoli sforzi. È questa la periferia, la parte più esposta che porta addosso tutti i segni della città, un po’ come la pelle che porta i segni del corpo: le rughe, i colori, le bruciature, le cicatrici, peli, nei, macchie. Tutto lì.

Appaiono allora le prime fabbriche, i grandi magazzini, i depositi. Ci si addentra nel profondo dove si lavora per far andare avanti il corpo, per il movimento, la fatica, lo sforzo. Appena sotto la pelle, dove il grasso e i muscoli fanno il lavoro sporco. Qui si concentra gran parte dell’energia, qui si manifesta l’efficienza, la parte dinamica della vita.

Il tutto comincia a sfumare verso abitazioni dall’estetica pensata e omogenea nella loro apparente coordinazione. Si va verso i quartieri residenziali e gli enormi grattacieli. Comincia l’esplorazione delle viscere, dove ogni casa e palazzo ha la sua funzione, la sua nota caratteristica, dove ogni centimetro dà il suo contributo alla vita, ogni luogo funziona come un organo: da un parco facente il ruolo di polmone alle nuove costruzioni futuristiche costruite ed intrecciate come sinapsi nel cervello, risultato di nuovi stimoli. Qui si concentra la vita vera e propria di tutto il resto. Pensieri, progetti, identità, emozioni, esperienze. Qui si sviluppano i sensi.

Infine, si arriva in stazione, il punto più profondo, il cuore della città moderna. Qui si concentra la nuova linfa vitale, il punto che pulsa vita nel resto del corpo senza tregua. Il luogo in cui sono concentrati fiumi di persone poi sputati per le strade, come il cuore pulsa sangue nelle vene. Il luogo che mai riposa, neanche di notte. È da qui, che ogni secondo, partono miriadi di vite a fare la storia del Mondo. Adoro viaggiare in treno ovunque debba andare. Ti permette di vestire la nuova pelle del luogo in cui stai arrivando, iniziarlo a sviscerare ed arricchirsi di esso. Arriva il momento di scendere ed andare in azione.

Ogni esperienza di vita cambia a seconda del viaggio, in base alla prospettiva, alla dinamica. Se arrivi dalla pelle al cuore o dal cielo alla terra o se in macchina affronti tutti gli angoli delle strade, cambia, anche impercettibilmente, il tuo approccio alla destinazione. Ed anche la vita è un po’ così. Cambiando modalità cambiano le prospettive. L’unico fattore comune è il viaggio. Ogni spazio di vita è un viaggio in cui indossare nuovi indumenti ed arrivare nel profondo delle sensazioni, comprenderle, sentirle. Solo allora smettiamo di sopravvivere e lasciamo posto a questa meraviglia chiamata vita.

Poi succede di perderti in tutte queste riflessioni e accumulare minuti e minuti di ritardo, per fortuna sono italiano, per fortuna i treni non passano più in orario!

Basta

Vorrei fermare il tempo

e dire basta!

Basta alla violenza

e rubare al mare

il segreto della pace.

Basta alle differenze

e attingere in natura

un colore uguale per tutti gli uomini.

Basta a questa società

e chiedere al vento

come esser liberi.

Basta a tutta questa follia

e trovare nel tempo

l’armonia della pazienza.

Basta all’ignoranza

e scagliare contro l’uomo

la forza del sapere.

Basta alla vita frenetica

ed entrare nell’istante

per cogliere il potere del meditare.

Vorrei fermare il tempo

e chiedere al mondo …

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Maurizio Paolella

La Bellezza

Bruno, il cielo della notte,

brilla colmo di stelle,

traccia negli occhi nuove rotte;

Sole, le onde del mare,

sfuggono gonfie di pace,

battono note in cui oziare;

Esili, i fiori del prato,

fan l’amore con la Terra,

esplodono colori nel creato.

Seducente, la parvenza,

sciupa la volontà,

frange l’emotiva sostanza.

Meravigliosa, l’Essenza,

riempie il cuore,

forgia le ali dell’Esistenza.

Maurizio Paolella

Cielo

La sera del 13 novembre 2015 il cielo era incantevole: ampio, aperto, senza limiti e confini. In quella stessa sera anche il cielo di Parigi doveva essere incantevole mentre la terra si macchiava terrore e morte. Ricordo bene il panico e lo sgomento che si sparse tra le persone quella sera, anche nel mio piccolo paesino, distante centinaia di chilometri da Parigi. Tutto il buon vivere che la storia con i suoi grandi uomini e le loro grandi idee avevano costruito franava improvvisamente e tutti venimmo gettati nella totale insicurezza della nostra quotidianità.

Ricordo come si impresse nella coscienza collettiva una guerra non dichiarata che tutti cominciavamo a combattere. Ed allora ricordai quello che pochi mesi prima era accaduto nella piccola comunità in cui vivo.

Era il periodo più massiccio dell’ondata migratoria. Arrivavano barconi in continuazione, pieni di vite, perse, in cerca di speranza. Tanti morivano in mare, ancor di più approdavano sulle placide sponde del territorio europeo e smistarli divenne un annoso problema per gli stati locali. 

Quella enorme ondata migratoria, figlia di uno sfruttamento secolare del suolo e del popolo africano, richiese un contributo di solidarietà ed ospitalità anche al mio piccolo paese. Alcuni migranti sarebbero arrivati in una struttura temporanea d’accoglienza.

Alla notizia il clamore cittadino fu immediato e forte. Gran parte della popolazione si preoccupò della vicenda come mai aveva fatto per altro (neanche durante il periodo in cui si cercava di capire se la Camorra aveva contaminato le nostre terre con rifiuti tossici, da cui per fortuna ne siamo usciti indenni, si era avuto tanto scalpore). Cominciò a crescere una enorme ed insensata paura e maldicenza. Montavano, ogni giorno, critiche di ogni sorta nei confronti dei migranti in arrivo, ispirate dal pregiudizio secolare. 

Innanzitutto, i migranti, vennero giudicati come dei pochi di buono, portatori sani di innumerevoli malattie per contaminarci tutti e soppiantare la nostra razza. In secondo luogo, senza alcun dubbio, alcuni erano avvezzi al furto ed allo scippo. Infine, sicuramente doveva esserci tra loro qualche pedofilo, pederasta e violentatore seriale, non escludendo la presenza di terroristi infiltrati per attentare un piccolo paesino di 3000 anime. Senza contare la miscredenza portata dal Dio strano che pregavano. Pelle di colore differente, flatulenze, gusti culinari improponibili e così via. Insomma, l’inciucio più basso ed ignobile possibile. Così cominciò una massiccia mobilitazione e si attivò ogni singolo cittadino pregiudizioso, innescando a tutti i livelli la macchina del fango.

Consigli comunali aperti al dibattito pubblico, emittenti televisive accorse a sciacallare, aumento esponenziale dell’installazione di inferriate, inciucio, pettegolezzo, ingiuria e pregiudizio a tutto campo. Insomma mancavano solo gli elmetti e le trincee intorno alle case.

Venne il grande giorno. I migranti sono ormai alle porte del paese. Arrivano a bordo di un pulmino. C’è una enorme folla ad aspettarli: incazzata, impaurita, ingiuriosa. L’attesa è insostenibile, la tensione si taglia col coltello. Si apre la porta del pulmino e lentamente cominciano a scendere i primi migranti vestiti di tute e coraggio improvvisato. Stanchi del tanto peregrinare e sconfitti nel volto dalla poco indulgente accoglienza. Scortati dalle forze dell’ordine ed attorniati da innumerevoli persone come stelle di Hollywood sul red carpet degli Oscar. Solo che non siamo agli Oscar e la folla non è composta da fan in cerca di foto ed autografi.

Qualcosa però non va! Man mano che scendono dal pulmino, questi migranti, risultano davvero strani. Non è normale quello che sta succedendo! Tutto è molto strano e tutt’altro che coincidente con le voci circolanti sui migranti. Infatti, al contrario di quanto detto, i migranti sembrano comuni esseri umani. Hanno tutti due braccia, una mano per braccio e cinque dita per mano. La pelle ha un colore diverso, ma è pelle, con peli e naso e bocca, capelli ed un viso sofferente e mortificato. Sembrano davvero uomini normali, proprio come tutti “noi”. Hanno una bocca, con due labbra, trentadue denti ed una lingua, che parla altre lingue ma emette gli stessi suoni. Con quella lingua raccontano la loro storia ed allora tutti si rendono conto che i migranti hanno anch’essi due gambe con cui per mesi hanno percorso tanti di quei chilometri che alcuni non percorrono nemmeno in una vita, attraversando guerre e deserti e jungle e mari in tempesta in cerca di un futuro migliore. Anche loro hanno due orecchi, come tutti, con cui hanno sentito spari ed urla di morte. Due orecchi con cui hanno ascoltato pianti di fame, violenza, pietà e il rumore delle onde di notte senza sapere la destinazione, ammassati in migliaia su piccole zattere. Hanno anche loro due occhi con cui hanno visto gli orrori della guerra e della fame. Hanno visto sangue e lacrime. Hanno visto i risparmi di una vita andare via in cambio di una speranza. Hanno visto i loro cari morire e le loro donne stuprate. Due occhi, con cui hanno visto le stelle di notte sulla testa, non come due amanti ma come poveri disperati abbandonati alle onde del mare mentre di fianco muore una donna o un bimbo piange di fame.

Hanno una testa, chinata dalle umiliazioni della povertà. Hanno una mente continuamente affollata di pensieri. Hanno un cuore che nonostante tutto, batte ancora. Hanno soprattutto una vita ed un passato fatto di amici e parenti e amori, persi chissà dove… e la scuola in cui 50 nella stessa classe… e il pozzo in cui tutto il villaggio beveva…e le strade sterrate… e le fogne a cielo aperto… e tanti affetti ormai abbandonati. Tutto per raggiungere un presente nelle terre tranquille come le nostre dove, anche se tanti sono i problemi ed infinita l’ostilità, la vita è normale, l’acqua è un bene facilmente reperibile, come il cibo, e la speranza di costruire un futuro è ancora dietro l’angolo! Nessuno aveva visto tutto questo prima.

Così, tutta quella gente ammassata in una ideale trincea ed impegnata a costruire un invalicabile muro di macigni, sembrò svegliarsi da un oscuro incantesimo ordito da pregiudizio e diffidenza. Tutto l’impegno dedito all’inciucio, alla mortificazione e l’annuncio di sventure solo perché persone straniere mettevano piede nella nostra casa, svanì con uno scambio di sguardi

Tutti cominciarono a scusarsi con i propri figli per le mostruosità che avevano detto sui migranti. Si ricordarono che la civiltà non era una questione di lavoro o guadagno o religione ma il risultato dell’incontro tra tutti quegli uomini che decidono di stare insieme, dialogare e condividere le bellezze di questo Mondo. Andarono a pregare Dio, chiedendo perdono, perché avevano dimenticato le sue parole di Amore e Fratellanza. Ma ciò di cui più si preoccuparono fu chiedere scusa a sé stessi per aver dimenticato la propria natura umana. Ricordarono le oscenità pronunciate e l’odio montato senza motivo. Ricordarono di avere chiamato scimmie i migranti, quando le scimmie stavano diventando loro nella ricerca della nocciolina incarnata dal bersaglio comune contro il quale scagliarsi. Capirono di aver puntato il dito contro il ‘negro’ senza aver considerato il negriero! 

Passato questo ricordo potei rassicurarmi e ricordare che, nonostante i tanti disastri umani, ci sarà sempre il cielo a ricordarci che il Mondo nasce aperto, senza confini, e lo resterà per sempre. Ricordai che ogni incontro è difficile ma dopo il primo ostacolo tutto diviene normale. Alzai gli occhi al cielo e pensai che nonostante tutti gli sfaceli combinati dagli uomini in terra, l’un contro l’altro armati, pronti a chiudersi nelle loro mura coi loro pregiudizi, il cielo di Parigi anche quella notte sarebbe stato incantevole, sconfinato e senza frontiere. E così è sempre stato in tutto il Mondo: la pazienza delle nuvole di attraversare continenti, la dolcezza delle stelle di farci luce quando c’è buio, la magnificenza incarnata dalla danza di Sole e Luna, occhi negli occhi, giorno e notte, per l’eternità. 

Si anche quella notte il cielo di Parigi era incantevole ma l’ignoranza non sa che esiste il cielo, guarda in basso, e vede solo linee tracciate dagli uomini su di una terra nata unita e senza confini. Per fortuna basta ricordarsi del cielo ed alzare un po’ lo sguardo!